02 novembre 2007

Father blues

Una delle ultime immagini che ho di mio nonno paterno è quella di quando si faceva imboccare da mio padre. La forma della bocca che cercava di allungarsi e quella luce animalesca negli occhi. I gesti scarni di mio padre. Sguardi e gesti che mi ricordavano la semplicità del mondo contadino ai quali loro hanno appartenuto. Sostanza e nessuno spazio ai fronzoli.
E quel fare maschile di ignorare le emozioni. Di capirsi senza parlare.

Ho rivissuto queste immagini pochi giorni fa.

Mio padre che non cede alla moda dell'ozio ma al richiamo della terra è caduto dalla scala mentre stava raccogliendo le olive.
Giustamente il ramo ha ceduto proprio il giorno che io mi stavo impegnando ad oziare e a gustarmi il DVD di David Gilmour che mia moglie m'ha regalato: quasi a ricordarmi che alla mia età non posso più permettermi queste libertà ma devo prendermi le mie responsabilità.
(E non è detto che l'accento sulla a sia un caso).

Le responsabilità per ora non sono state nient'altro che fare l'autista, parlare coi dottori del pronto soccorso e organizzare il rientro a casa di quel colosso fratturato con gli onori della sirena dell'ambulanza.
Tralascio la fatica di seguire l'ambulanza in mezzo al traffico di Roma dopo che una sbarra ti impedisce lo scatto felino necessario a metterti con la tua utilitaria bradiposa dietro l'ambulanza rombante che partiva dalla sua corsia preferenziale all'uscita dell'ospedale e l'imbarazzo di dover pure fare il giro del palazzo perchè loro possono permettersi il lusso di potersi fermare in mezzo alla strada, io no. Vigile dixit.

Sono bravi quelli dell'ambulanza, ridono e scherzano con mio padre e fanno sentir sicura mia madre. Talmente bravi che mia madre si è sentita in obbligo di sbrigare le faccende danarose mentre io ero ancora intento a sistemare il culone dolorante di mio padre sopra il letto. Settantacinque euro senza ricevuta. Non me la son sentita di fare la ramanzina a mia madre ma dentro di me ho proiettato il film "evasori fiscali che bruciano mentre vengono impalati da grossi tronchi di frassino". Lo conosco a memoria per quante volte l'ho visto.

Ma è stato un piccolo, banale episodio che mi ha fatto l'effetto madeleine di Proust: far mangiare mio padre. Avvicinare la forchetta a quella bocca che si allungava a catturare il cibo, quello sguardo contadino.

Mi sono sentito parte di una catena familiare, che si tramanda il cucchiaio per imboccare il padre come in una staffetta da padre a figlio.

Ma io interpreto a modo mio il fare maschile: magari continuo ad usare poche parole, ma cerco di non ignorare le emozioni.

Così, approfittando della sua momentanea immobilità, ho accarezzato la testa di mio padre.
(E non è detto che l'accento sulla a sia un caso).